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“Quei morti non insegnano nulla”

Una terra che ha pagato un altissimo tributo di vite umane avrebbe dovuto insegnare a gestire l’emergenza, eppure l’organizzazione fa acqua. Le colate rapide di fango non sono servite a piegare l’abusivismo, ad arginare i danni dell’uomo, a mettere in campo un piano di lavoro che mirasse alla salvaguardia ed al controllo del territorio. Si va avanti ancora attraverso soluzioni tampone, interventi emergenziali, opere a metà, manutenzioni col contagocce, fondi dirottati. Questa è Sarno, a 16 anni dalla tragedia, dove 137 morti sembrano aver insegnato ben poco, con ferite ancora evidenti sulla montagna e con storie dimenticate a valle.
Sono storie di vita quotidiana e di quotidiana emergenza, allagamenti e straripamenti laddove la città neppure rientra nella carta di rischio esondazioni. Un paradosso che sa di beffa, una ambiguità che si scontra col grave rischio idrogeologico e con gli allagamenti di questi giorni. Non si sa da dove iniziare né come definire gli eventi straordinari sul territorio. Addirittura, la scorsa settimana, in via Beveraturo con oltre quaranta famiglie isolate, acqua alta un metro, campi sommersi e persone intrappolate, alcun tecnici del Genio Civile hanno definito la situazione «normale, non emergenziale».
«Cosa è emergenza, i morti? Così è già troppo tardi» hanno chiosato i residenti in una zona dove l’acqua ha invaso strade e campi fino a confondere anche la delimitazione dei luoghi. Una giornata di ordinaria pioggia si è trasformata in un evento eccezionale tale da richiamare i carabinieri, la polizia di stato, i vigili del fuoco, i dipendenti del centro operativo comunale, mezzi di soccorso per portare le persona in zona più sicura. Zone devastate dalla piene dei due affluenti del fiume Sarno, Rio San Marina e del Rio Palazzo, le cui acque anziché defluire verso valle, a causa degli sbocchi ostruiti sono risalite invadendo le aree abitative.


Ciò che è mancato negli anni è la manutenzione ordinaria mentre i residenti girano con il «kit di emergenza» fatto di pale, stivali in gomma e pale meccaniche. Parole dure dal commissario straordinario del Consorzio di Bonifica, Antonio Setaro, che ha attaccato aspramente i dirigenti del Genio Civile cui spetta la responsabilità della manutenzione degli alvei dei corsi d’acqua. «Qui servono ingegneri, non geometri. Hanno detto che non c’è emergenza, io li ho mandati a quel paese. Mercoledì invierò una relazione dettagliata alla Procura della Repubblica. Qui si deve capire come intervenire e mi hanno mandato dei geometri. Che ne devo fare? Mica devo prendere delle misure. In questo momento ci vuole un ingegnere che sappia di idraulica che ci indichi come agire per far defluire le acque. Noi già abbiamo fatto degli interventi per quanto possibile, ma non sono di nostra competenza. Il Consorzio, per un piano di classifica, ha il controllo di 350 chilometri di canali quindi le aste fluviali sono fuori dalla nostra competenza. Le acque fuoriescono dalle aste fluviali perché non ricevono più, anche per la mancata manutenzione. La responsabilità è del Genio Civile. Noi siamo disponibili ad intervenire, ma non possiamo farlo senza l’autorizzazione. Come ente pubblico, il Consorzio non può agire in modo impulsivo senza programmazione perché, oltre a coinvolgere questioni economiche, si coinvolge la responsabilità personale e l’incolumità degli operatori». I campi sono stati invasi dalla piena, i danni sono incalcolabili. L’interrogativo ora è sui prodotti che si sono in parte salvati dalla piena che potrebbero essere inquinati e contaminati. Nei prossimi giorni ci saranno delle verifiche da parte dell’Arpac che analizzerà i terreni e i prodotti agricoli.

Rossella Liguori

 

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