«Carmine è un problema». L’agguato al pentito che minacciava gli affari
Doveva essere eliminato Carmine Amoruso, punito per aver invaso un territorio già «controllato», tra San Marzano sul Sarno, Pagani e Scafati. Per Rosario Giugliano «’o minorenn» (condanne alle spalle per oltre 227 anni, ridotti a 30), che si era trasferito da qualche tempo a Pagani, in una mansarda di via De Gasperi, per coordinare meglio gli affari illeciti nella zona, in virtù di un patto con parte della mala locale, la presenza di «Carminuccio o’ pentito» di Poggiomarino era diventata una vera e propria ossessione, un «problema da risolvere», anche per continuare a legittimare la leadership che gli era stata riconosciuta in nome della sua storica appartenenza al clan Alfieri/Galasso.
La ricostruzione dell’agguato
È solo per una serie di circostanze fortuite se quel pomeriggio, il 13 aprile scorso, nei pressi del cimitero di San Marzano sul Sarno, Giugliano ed il suo complice, il 31enne paganese Nicola Francese, non riescono nel loro intento. A rimarcarlo, più volte, è lo stesso pm della direzione distrettuale Antimafia di Salerno Elena Guarino ricostruendo i fatti nel provvedimento di fermo emesso a loro carico sulla scorta degli esiti delle indagini condotte dai carabinieri del reparto territoriale di Nocera Inferiore e dagli agenti della squadra mobile di Salerno.
Tutto torna nella dinamica del tentato omicidio ipotizzata dagli inquirenti. I due killer sono a bordo di una Fiat panda quando incrociano la Ford Puma di Amoruso, che è in compagnia del fratello Marco e di un altro pregiudicato di Poggiomarino. Giugliano e Francese scendono dalla Fiat Panda dopo aver bloccato l’auto della vittima ed iniziano a sparare. Per uccidere. Una raffica di almeno 14 colpi esplosi, secondo gli investigatori, da due armi. I primi all’altezza del vano motore, per mettere fuori uso la Ford puma ed impedire alla vittima di ripartire, gli altri diretti a colpire in pieno Amoruso, che è al posto di guida. È Giugliano a puntare direttamente al volto dell’ ex pentito, ma l’ arma si inceppa. Amoruso, ferito all’avambraccio sinistro, riesce ad impugnare il cambio e a fare retromarcia per allontanarsi rapidamente, direzione ospedale. Lungo il tragitto verso il Martiri del Villa Malta l’auto si ferma, va in avaria. Amoruso e gli altri due bloccano un Doblò, aggrediscono il conducente e lo costringono ad allontanarsi per poi rubare il veicolo e raggiungere il pronto soccorso.
Fin dalle prime battute dell’ attività investigativa i carabinieri del tenente colonnello Rosario Di Gangi e gli agenti del vicequestore Marcello Castiello intuiscono che quell’agguato nulla ha a che fare con la parentesi del pentimento di Amoruso, che in ballo c’è la gestione delle attività illecite in quel lembo di territorio a nord della provincia di Salerno. È quanto emerge, daltro canto, dalle conversazioni intercettate nella mansarda di via De Gasperi tra Giugliano, Francese ed altri pregiudicati della zona nell’ ambito di una più complessa ed articolata attività di indagine focalizzata sulle attività di un’ organizzazione criminale attiva nell’Agro nocerino sarnese, con ramificazioni nell’hinterland napoletano. È in quella mansarda che si prepara l’agguato ad Amoruso, preceduto da pedinamenti, servizi di osservazione a carico dell’ ex pentito il quale, per spostarsi da Poggiomarino e raggiungere l’Agro, non effettua sempre lo stesso percorso.
LE INDAGINI
L’ attività di indagine è stata intensa, breve, certosina. Nulla è stato lasciato al caso, nella convinzione che ogni elemento acquisito potesse diventare fonte di prova. Come i capelli lunghi, a caschetto, color biondo-finto, a cui Amoruso fa riferimento descrivendo uno dei due killer. È la stessa parrucca (da indossare con un cappello in testa per evitare il rischio di essere riconosciuti) di cui parlano, in un’ altra conversazione intercettata nella mansarda di Pagani, Giugliano e Francese, pianificando l’ agguato
Daniela Faiella