Tra criticità e soluzione estreme occorre un nuovo modello organizzativo per i piani ospedalieri. Ne è convinto Gennaro Sosto, direttore generale dell’Azienda sanitaria salernitana, insediatosi lo scorso agosto.
Di Rossella Liguori
Ospedali sempre meno attrattivi e la fuga di medici verso la sanità privata, la rete di emergenza urgenza ingolfata da codici bianchi e verdi per la lentezza della rete territoriale, i costi delle diagnosi, medici a partita iva che sono pagati a peso d’oro. Tra criticità e soluzione estreme occorre un nuovo modello organizzativo per i piani ospedalieri. L’Asl di Salerno mira ad una sanità che sia svolta determinante per percorsi virtuosi. Una prospettiva che è anche della Regione Campania, ma che pare difficile da attuare in tempi brevi perché è parte di una reale rivoluzione sanitaria.
Gennaro Sosto, direttore generale dell’Azienda sanitaria salernitana, insediatosi lo scorso agosto, traccia le linee con estrema decisione, attraverso numeri e dati. È determinato a cambiare le sorti di un sistema sanitario con tante falle, ma sa bene che i tempi saranno lunghi. Ha dovuto prendere decisioni necessarie, forse difficili. «Medici a partita iva – dice – da un punto di vista etico e morale non è quello che farei se avessi un’altra chance. Non avendola, mi sento di dover dare fondo a tutte le mie possibilità».
Medici a partita iva, polemiche e l’Asl definita una miniera d’oro. È l’unica strada?
«La società ci dice che non abbiamo personale in pronto soccorso, come management cerchiamo di inventarci tutto, compresa la remunerazione a partita iva e ne è nata una polemica.
Formule magiche non ne abbiamo, non sappiamo come affrontare diversamente le problematiche, se non fare i concorsi che spesso in alcune tipologie di assistenza come pronto soccorso, anestesia, ortopedia, vanno deserti. In questo momento cerchiamo di inventarci di tutto, utilizzando le regole attuali che prevedono, tra le possibilità, anche questa di partita iva. Certo, dal punto di vista etico e morale non è quello che io farei se avessi altre scelte. Non avendone, io oggi mi sento di dover dare fondo a tutte le possibilità».
L’alternativa?
«Restare così ma, a quel punto, non vorrei sentire lamentale sulla carenza di personale. C’è un dato nazionale, che riguarda da vicino anche la sanità salernitana: la fuga di medici dagli ospedali e la scelta del sistema privato. Un problema su scala nazionale che coinvolge il processo di remunerazione della classe medica. Su questo, purtroppo, non abbiamo grandi margini di manovra. Il legislatore ci dà gli strumenti con i contratti collettivi nazionali che sono ancorati a rigide norme regolamentari a livello nazionale. Non abbiamo la possibilità di essere flessibili da questo punto di vista».
Cosa possiamo fare?
«C’è bisogno di una figura che faccia questo mestiere per vocazione nella sua estrinsecazione naturale nel mondo pubblico, dove si fa una esperienza che è di un livello di complessità di gestione diversa». Integrazione ospedale- territorio: serve una sanità meno ospedale-centrica? «Sì, è l’unica chance per la sostenibilità del sistema. Dobbiamo iniziare a lavorare in sinergia stretta, per questa famosa integrazione di cui tutti parliamo ma che non si raggiunge. Ci vuole spirito di volontà da parte degli operatori, una operazione di organizzazione». Il sogno? «Avere un paziente gestito in un percorso che parta dalla realtà territoriale, diagnosticato su un primo livello, e, a seconda della complessità, trattato nei vari gradi dell’azienda sanitaria. Questo è la letteratura, quello che vediamo scritto nei libri, e che non riusciamo a fare negli ultimi anni». È questa una chance anche per risolvere la pressione sul pronto soccorso? «Sicuramente, perché quando si hanno difficoltà e carenze, i modelli organizzativi possono aiutare a dare servizi migliori». Ha detto che su 100 accessi in pronto soccorso, 90 sono codici bianchi «Sono dati nazionali validi anche in Campania. Una grande percentuale è da codice bianco e codice verde. Il che vuol dire che quelle persone non avevano bisogno di entrare in pronto soccorso. Ciò crea una difficoltà nella rete di emergenza. Un rallentamento di erogazione offerta per chi ha bisogno di un intervento».